Siamo finalmente entrati nella fase 2. Quella in cui ci siamo di nuovo riappropriati di un numero infinito di libertà. Dal caffè al bar alla camminata in montagna. Dal tempo con i nostri familiari, fino alle cene al ristorante con gli amici.

Strana, questa quarantena. Strano scoprire che ciò che mi è mancato non corrisponde – se non in minima parte – a ciò che avrei pensato mi sarebbe mancato ragionando a bocce ferme. Strano venire a conoscenza della resilienza insita in ognuno di noi. E strano farlo in una maniera così brutale e, allo stesso tempo, così potente. Strano riuscire ad accettare i momenti di sconforto senza vergognarmene, prima di tutto al cospetto di me stessa. Strano aver dovuto rallentare una vita frenetica e aver scoperto, solo col tempo, di non voler più ritornare da dove sono venuta.

Chissà se ci ricapiterà mai, in futuro, nel corso delle nostre vite, di fronteggiare una situazione come questa. Mi auguro di no, ovviamente, per quanto concerne l’emergenza sanitaria, il rischio di perdere la nostra vita o quella dei nostri cari, la crisi economica, il clima di terrore, le limitazioni. Ma, se da una parte spero che le nostre speranze vengano esaudite e piano piano si torni alla normalità, dall’altra sento una sorta di obbligo verso me stessa. Quello di non dimenticare, proprio come si dice quando si parla della Shoah o di tutto il male compiuto dall’uomo nel corso della storia. Non dimenticare la doccia ghiacciata che è stato questo virus: la paura, prima. La consapevolezza, durante. L’obbligo di agire, poi.

Ecco ciò che mi è vietato dimenticare, da adesso in poi, anche se so che la tendenza a ripartire in quarta sarà, per tutti, inevitabile.

Fase due: vietato dimenticare

Il valore del riposo.

Sono una di quelle persone che hanno bisogno di essere sempre in movimento per sentirsi vive. Di pianificare mille viaggi, mille esperienze, mille appuntamenti. Di aggredire la vita mangiandosela a morsi (sì, a volte in maniera letterale 😀 ). Solo ora mi rendo conto di aver sempre sottovalutato un’enorme variabile. Il riposo. Questo termine così piccolo, ma così difficile da contemplare, per quelli come me. Per quelli che credono che fermarsi corrisponda a perdere un’occasione per godersi tutto quello che c’è fuori.

Non fraintendetemi: mi addormento in ogni dove, sono sempre pronta per un sonnellino e dormirei anche nell’acqua. Per riposo, infatti, non intendo solo il sonno. Intendo un ritmo di vita che contempli silenzio, riflessione, talvolta anche sana nullafacenza. Che non sia improntato solo ed esclusivamente all’iperproduttività. Che preveda momenti di pausa da tutto, fosse anche solo per mezz’ora al giorno. Mai come in questo periodo mi sono resa conto di come la mia creatività e la mia curiosità siano, letteralmente, rinate in questi ultimi tre mesi.  Di come si siano nutrite del mio ritmo di vita più lento, del maggior numero di ore di sonno e dei ripetuti momenti di silenzio e riflessione.

fase 2 vietato dimenticare
fase 2 vietato dimenticare

[8 marzo 2020 – 18 maggio 2020]

L’importanza di chiedere aiuto

Non sono capace di chiedere aiuto. Credo qualcosa sia andato storto nel mio processo educativo 🙂 Intendo dire che, forse, i miei genitori hanno cercato – giustamente – di insegnarmi ad essere indipendente, forte, ottimista, a non abbattermi mai nelle difficoltà. E io, di tutta risposta, temo di aver fatto miei questi valori in maniera totalitaria. Al punto da faticare ad accettare le mie debolezze. Corro quando è richiesto il mio intervento – perché rendermi utile è una delle sensazioni che mi fa sentire meglio al mondo – ma non so chiedere aiuto quando quella da salvare sono io

Ammettere questo mio limite è sicuramente stata una delle maggiori conquiste dell’età adulta. Affrontarlo è stato, invece, la sfida di questa quarantena, che ho trascorso in completa solitudine – essendo mio marito bloccato all’estero per lavoro. I momenti di sconforto, in questi mesi, non sono mancati. Sono stati meno numerosi di quanto credessi ad inizio lock-down (guardate come rispunta, insistente, la tendenza di cui vi parlavo prima 🙂 ), ma comunque profondi. Ho affrontato con terrore una delle mie più grandi paure, quella di perdere o veder soffrire le persone che amo – come per molti di noi.

In assenza di qualunque altro diversivo, l’unico modo che avevo per superare i momenti di down, oltre a contare sulla mia forza, era quello di chiedere aiuto. Di chiamare mio marito, un’amica, una persona a cui voglio bene e chiedere loro di starmi vicino, di farmi sfogare, di tenermi compagnia (virtualmente) finché non mi fossi sentita meglio. Senza giudicarmi e senza pretendere di essere invincibile. Certo, abbassare le difese in un momento in cui tutto il mondo è in difficoltà è molto più facile. Ci si sente autorizzati a chiedere aiuto, quando questa è una necessità avvertita dalla collettività. Diverso è farlo in uno stato di normalità. Per questo spero con tutto il cuore di non dimenticare quanto imparato e di trasferire questa nuova consapevolezza anche nella mia routine quotidiana.

La battaglia non è ancora finita. Non abbassiamo la guardia, né tanto meno la soglia di rispetto verso il prossimo.

Continuiamo a mettere un piede davanti all’altro, con lo zaino colmo di nuovi insegnamenti e tanta gratitudine in più.

Un abbraccio, viaggiatori.